Il ricorso contro l’ampliamento dell’insediamento terziario sul colle di Varignana
Avverso al ritorno ad una normalità imprevidente

In questi giorni di grande sofferenza per tutti, Italia Nostra e Legambiente hanno presentato al Capo dello Stato un Ricorso Straordinario contro la società CRIF Spa e il Comune di Castel San Pietro Terme per l’annullamento della delibera comunale di approvazione di una variante al RUE comunale (Regolamento Urbanistico Edilizio), intesa all’ampliamento degli immobili ad uso terziario insediati sul colle di Varignana, nei pressi del prestigioso omonimo Palazzo collocato sul crinale in continuità alle colline bolognesi, da decenni sottoposte a regime di vincolo e di tutela paesaggistica.
Nonostante queste norme e nonostante il parere negativo di ARPAE (l’Agenzia Regionale di Protezione Ambientale) e della Città Metropolitana bolognese, il Comune ha infatti assentito ad un poderoso ampliamento degli immobili esistenti, di proprietà della CRIF, inteso a trasferire il quartier generale della prestigiosa azienda bolognese specializzata in sistemi di informazioni creditizie, oggi ubicata nell’area urbana del capoluogo regionale.
Eppure quanto è venuto realizzandosi attorno al Palazzo  settecentesco di Varignana, dal 2006, è già oggi una presenza imbarazzante per un territorio disciplinato da una normativa di tutela. Si tratta di un insediamento adibito a resort ed uffici, collocato sulla prima collina a ridosso della via Emilia, a monte dell’abitato di Osteria Grande, cresciuto a colpi di variante al vigente PRG. Varianti che hanno portato a 12.000 mq la superficie utile realizzata (circa due campi di calcio come il Dall’Ara), a cui vanno aggiunte autorimesse, seminterrati, cantine, depositi, locali di servizio, percorsi di collegamento coperti e interrati, piscine e parcheggi, tutte opere non computabili ma che si aggiungono al totale di superficie utile.
Queste ripetute modifiche al piano vigente, colpevolmente assentite negli anni scorsi dal Comune e dalla Provincia, hanno così portato, in tredici anni, ad una radicale mutazione di quest’area di crinale, per la quale oggi si consente un ulteriore aumento di capacità edificatoria, pari a circa 6.000 mq di superficie utile (dunque al netto della superficie accessoria), in modo da raggiungere un totale di 18.000 metri quadri.

Sotto il profilo della disciplina urbanistico/territoriale la prospettiva descritta contrasta con le più elementari regole della pianificazione, come peraltro non ha mancato di osservare il parere di ARPAE, emesso nel corso della Conferenza di servizi attivata per la approvazione della Variante.
Innanzitutto essa produce profonde alterazioni delle pendenze e della permeabilità dei versanti in un’area delicata sotto il profilo della ricarica e della regolamentazione delle acque, a seguito della prevista asportazione di circa 70.000 mc, da operare con appositi sbancamenti (un volume pari a quello di 300 appartamenti di media grandezza).
 In secondo luogo essa contrasta con l’obiettivo di limitare la dispersione insediativa, limitazione che sarebbe viceversa necessaria ai fini di concentrare gli insediamenti generatori di traffico pendolare in zone servite dal trasporto pubblico. Trasferire un consistente quantitativo di maestranze (circa 300 impiegati) dalla sede attuale, posta a 800 metri dalla Stazione Centrale di Bologna e su di un’arteria percorsa da linee urbane ed extraurbane, ad un’area collinare servita esclusivamente da una fragile rete viaria secondaria non lascia alternative all’utilizzo del mezzo privato.
Ed infine, per quanto il robusto intervento possa essere abilmente mimetizzato ed ornato da piantumazioni e di filari di ulivo, esso comunque contrasta con gli obiettivi di tutela delle aree produttive agricole e di mantenimento del paesaggio non costruito che si addice alle pendici collinari.

E’ tuttavia sotto il profilo della legittimità giuridico/amministrativa che, come è logico, si giustificano le ragioni del Ricorso Straordinario al Capo dello Stato. Quattro evidenze di mancato rispetto della legge sostengono la contestazione di merito sotto questo profilo,
La prima riguarda la violazione degli articoli 4 e 53 della recente legge urbanistica regionale 24/2017. La norma regionale, seguendo lo schema dei procedimenti speciali di modifica degli strumenti urbanistici previsti dal DPR 160/2010, introduce una disciplina innovativa e specifica che semplifica la procedura di modifica degli strumenti urbanistici che saranno adottati in attuazione della nuova legge (art.53). Ciò comporta che tale schema non risulti applicabile ove si debba procedere alla modifica dei piani approvati ai sensi della previgente legge 20/2000, come è il caso dell’attuale PSC e del relativo regolamento attuativo (RUE) del Comune di Castel San Pietro.
La seconda riguarda la violazione del già citato DPR 160/2010 che prescrive (art.8), quale condizione per l’utilizzo della procedura semplificata, la necessità della verifica “in modo oggettivo e con il dovuto rigore” dell’assenza, nell’ambito dell’edificabilità concessa dal vigente strumento urbanistico, di “disponibilità di aree destinate all’insediamento di impianti produttivi”. Tale verifica non è mai stata compiuta. Essa avrebbe invece chiarito, come testimonia la documentazione presentata nella Conferenza di servizi, che lo strumento urbanistico vigente già prevedeva un’ampia disponibilità di aree destinate allo scopo e, in particolare quelle collocate nella vicina località Osteria Grande. L’utilizzo di questa disponibilità attraverso il “trasporto” della potenzialità volumetrica residua sul colle di Varignana risulta di conseguenza illegittimo. Quella residua edificabilità, se utilizzata là dove prevista, avrebbe invece potuto essere ragionevolmente utilizzata per ampliare l’attività della Società CRIF in condizioni più opportune sia sotto il profilo ambientale che quello trasportistico.
La terza riguarda la violazione degli articoli 29 e 36 della già citata nuova legge urbanistica regionale che, in attesa delle previste Linee Guida in merito alla tutela e qualificazione paesaggistica ed ambientale del territorio rurale (art.29) rimanda alle norme contenute nell’Allegato A della previgente 20/2000. In base a queste ultime rimangono infatti attive le norme previste dalla pianificazione territoriale sovraordinata (art.19 del PTPR ed art.7.3 del PTCP) che vietano nuova edificazione per finalità extra-rurale nelle aree in questione. Da qui l’impossibilità di ampliare gli insediamenti esistenti, collocati in area rurale dal piano urbanistico vigente.
Infine la quarta ed ultima, che riguarda la violazione degli articoli 18 e 19 della più volte citata nuova legge urbanistica regionale, dovuta al fatto che il contenuto della delibera comunale impugnata contrasta con il parere vincolante della Città Metropolitana, erroneamente qualificato dal Comune come “positivo con prescrizioni” e non del tutto negativo, come è invece chiaramente desumibile anche dalla nota della Città Metropolitana del 7 novembre 2019. In tale nota, formulata in risposta ad una richiesta comunale di assenso sulle modifiche prodotte dal soggetto attuatore ed a quelle predisposte dal Comune nelle relative Convenzioni attuative, viene apertamente chiarito che il parere della Città Metropolitana è stato già pronunciato e che, di conseguenza, un nuovo parere avrebbe potuto essere emesso esclusivamente fosse stata prodotta una nuova Valsat, da sottoporre di nuovo ad ARPAE.

Si tratta in definitiva di un consistente panorama di contestazioni tecniche e giuridiche che, anche se riassunte in forma schematica, lasciano intendere di poter trovare ascolto presso il Capo dello Stato. Intervenire appellandosi alla più alta carica istituzionale nonostante il Paese attraversi uno dei più difficili momenti della sua storia assume dunque un particolare significato e fa onore alle associazioni che hanno sostenuto l’appello e sottoscritto il ricorso.

Piero Cavalcoli
Italia Nostra Bologna                                                                                        9-4-2020