Salvatore Settis. Il dopo-terremoto: demolire o ricostruire?

Dall'intervista di Francesco Romani della Gazzetta di Mantova a Salvatore Settis (link)
«I centri storici distrutti dal terremoto vanno ricostruiti e i monumenti salvaguardati». Salvatore Settis, archeologo di fama mondiale, ex direttore della Normale di Pisa ed ex presidente del comitato scientifico di Palazzo Te voluto dal sindaco Brioni che lo scelse anche come suo consulente in campo culturale, mette in guardia i mantovani dall’adottare, per la ricostruzione, il modello dell’Aquila. Attacca l’assessore provinciale Grandi, definito un “Attila” e chiede al Governo di trovare i soldi per il dopo sisma dalla lotta all’evasione fiscale e da una tassa sulla transazioni finanziarie.
L’assessore provinciale all’ambiente, Alberto Grandi, sostiene che è meglio abbattere le chiese e i campanili pericolanti e ricostruire un nuovo tipo di socialità nei vari paesi colpiti dal terremoto. Cosa ne pensa?
«Penso che Attila non poteva dichiarare di meglio. Il fatto di avere un assessore Attila in una provincia con gravi problemi ambientali e di tutela dei monumenti è un segno di degrado istituzionale, civile e storico del nostro paese».
Grandi, però, sostiene che la sua è soltanto una provocazione...
«Credo che se anche volesse presentare la sua proposta come una provocazione culturale, sarebbe un moltiplicare all’Emilia e alla Lombardia colpite dal sisma il modello dell’Aquila: abbandonando il suo centro storico, come una Pompei del ventunesimo secolo, è successo che il capoluogo abruzzese è stato lasciato nelle mani della speculazione edilizia che ha i nomi e i cognomi di chi rideva al telefono nella notte del terremoto. E così sono state costruite 19 new town dove la popolazione è stata letteralmente deportata e dove non c’è più vita sociale visto che mancano la chiesa, l’edicola, i negozi e i bar. Lì ci sono persone che vivono in case date in comodato dallo Stato con i mobili che non sono i loro ma che sono quelli di dotazione, inchiodati al pavimento. Insomma, in quel modo è stato disgregato il tessuto sociale di un centro storico. Questo ha segnato una svolta: mentre nei terremoti più recenti si cercava di ricostruire tutto quello che si poteva, con l’Aquila si è deciso diversamente. Si è voluto dare la possibilità di fare affari alle imprese di costruzioni, le stesse che avevano costruito con materiali scadenti la casa dello studente, poi crollata con il suo corollario di morti. Credo che rispetto alla gravità estrema del terremoto in Emilia e in Lombardia, la cosa più grave sia quanto dichiara l’assessore Grandi, la vera crepa nella società».
Anche i Comuni mantovani terremotati corrono il rischio di diventare una nuova l’Aquila?
«Si sta parlando troppo poco dell’Aquila e il rischio è di andare a costruire nuove città in cui saranno deportate le persone. E’ questa la nuova socialità? Credo che questa proposta vada bollata come irresponsabile».
Il problema, però, è dove trovare le risorse necessarie per ricostruire i centri storici di tanti piccoli paesi semidistrutti dal sisma. Che cosa propone su questo versante?
«In un paese nel quale, nel 2011, non sono state pagate tasse per 130 miliardi di euro, le risorse ci sono. Basterebbe dichiarare guerra all’evasione fiscale e introdurre una variante della tobin tax sulle transazioni finanziarie. L’evasione fiscale purtroppo è stata protetta dai governi, e l’attuale è il primo che fa qualcosa contro. La protezione dei monumenti è legalità e dobbiamo educare la gente alla legalità. Dicendo sì alla ricostruzione dei centri storici e no all’evasione fiscale si avrebbero le risorse anche per altri settori, come la scuola e la sanità. L’evento terribile del terremoto dovrebbe essere l’occasione per un ripensamento del tema della legalità, mettendo al primo posta la lotta all’evasione fiscale».
Tanti cittadini residenti nei centri storici dei nostri Comuni colpiti dal sisma sono stati evacuati dalle loro case non perché fossero inagibili ma per il timore che chiese e campanili lesionati potessero collassare improvvisamente. Questa gente chiede alle autorità pubbliche di demolirli al più presto per consentire un pronto ritorno a casa. Come conciliare questo diritto con quello che lei ritiene un dovere, e cioè conservare il patrimonio artistico e monumentale?
«Non posso giudicare ogni singolo caso perché non conosco la situazione mantovana. Però, c’è un altro sistema invece delle demolizioni: la prima cosa da fare, in caso di un monumento pericolante, è vedere se c’è la possibilità di puntellarlo e allontanare la popolazione per il più breve tempo possibile, cercando per essa una sistemazione anche in container, senza fare nuove città. Questa soluzione avrebbe il vantaggio di costare un quinto rispetto a nuove abitazioni e di essere provvisoria. Il ministro dello sviluppo economico Passera recentemente ha detto che vuole spendere 100 miliardi di euro per autostrade e treni ad alta velocità: perché invece di fare autostrade e Tav non mettere in sicurezza con una parte di quei soldi il nostro territorio e fare una bruttura di meno?»
I monumenti di Mantova, dove lei ha lavorato fino a metà 2010 a fianco dell’ex sindaco Brioni, hanno subìto gravi danni dal terremoto. Che idea si è fatto?
«Non ho visto di persona i danni; però, conoscendo e amando il patrimonio storico della città, spero che vi si ponga rimedio quanto prima. E spero che il vostro assessore provinciale non voglia abbattere il Ducale danneggiato. La conservazione e la tutela dei monumenti è contemplata dalla Costituzione. Ciò che è mancato a Mantova come altrove è un piano di prevenzione. Lo fece nel 1983 il direttore dell’istituto centrale per il restauro Giovanni Urbani che comportava, allora, un costo di 2.700 miliardi di vecchie lire, 5 miliardi di euro di adesso. Un piano che è stato completamente ignorato dai governi che si sono via via succeduti».
Perché, secondo lei, quel piano non è mai più stato ripreso in mano?
«Perché sappiamo solo usare la dinamite per distruggere i nostri monumenti. Servirebbe una vera trasformazione culturale».
Il Comune di Mantova ha deciso di recuperare Palazzo del Podestà, a costo di sforare il patto di stabilità e di subìre le pesanti sanzioni previste dalla Stato. È d’accordo?
«È il dettato costituzionale a mettere al primo posto la conservazione dei monumenti. Questo è un valore primario superiore a qualsiasi volere economico; anzi, la tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico deve orientare l’economia».