I musei civici: quale futuro? Stefano Vitali POLI ARCHIVISTICI E ARCHIVI DELLA CITTA'

Per una nuova politica

di conservazione degli archivi:

i poli archivistici

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Stefano Vitali
Soprintendente Archivistico per l' Emilia Romagna

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Da qualche anno nel mondo degli archivi italiani si è cominciato a discutere su nuove forme di organizzazione della maglia degli istituti di conservazione che siano più rispondenti alle modalità di produzione e di sedimentazione della documentazione che caratterizzano l'epoca attuale e che al tempo stesso fossero più rispondenti alle esigenze dei ricercatori e dei cittadini nel loro complesso.
            Alle origini di questo dibattito vi è stato, alla fine del secolo scorso, il tentativo di un ripensamento profondo del modello istituzionale di conservazione della memoria documentaria affermatosi in Italia, come negli altri paesi europei nel corso dell'Ottocento, un modello nel quale lo Stato gioca il ruolo di protagonista centrale nel determinare le politiche conservative: ne detta le priorità, ne scandisce i tempi, regola i diritti e i limiti di accesso alla documentazione, stabilisce i requisiti professionali del personale addetto. La sua affermazione costituisce un elemento ricorrente nelle fasi di formazione e consolidamento dei moderni stati nazionali, nel quale si incrociano e confluiscono istanze diverse che sono tipiche dei processi di nation-building. In primo luogo l'aspirazione a radicare nella tradizione storica l'origine e la legittimazione dello Stato nazionale. In secondo luogo, le esigenze di conservazione e di trasmissione alle generazioni future della memoria documentaria prodotta dallo Stato nazionale. Sul primo versante, la costituzione di moderne amministrazioni archivistiche va ricondotta nel quadro delle molte iniziative intraprese dagli Stati nazionali per fondare una propria memoria storica, quali la costituzione di una rete di istituzioni destinate a conservare, studiare ed esibire il patrimonio culturale della nazione come elemento di identità e coesione nazionale, la fondazione di istituti storici, la promozione di imprese editoriali tese alla pubblicazione dei “monumenti” della storia della nazione, il sostegno offerto dallo Stato alla professionalizzazione degli studi storici.
            In Italia tale modello si è affermato in primo luogo attraverso il processo di costituzione della rete degli archivi di stato, che avviatosi all'indomani dell'Unità d'Italia, sulla base degli istituti ereditati dagli stati preunitari, si è in realtà completato solo fra gli anni Quaranta e Sessanta del Novecento, quando, prima grazie alla legge archivistica del 1939, poi al DPR 1409 del 1963, sono stati costituiti archivi di Stato in ogni provincia.
            Si è trattato di un processo che, in realtà, non si è affermato in un vuoto assoluto di politiche conservative del ricco patrimonio archivistico ereditato dai secoli precedenti e diffuso per l'intera Penisola. In realtà fra la seconda metà dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, presero piede, soprattutto nelle regioni dell'Italia centro-settentrionale, iniziative di conservazione e promozione delle fonti documentarie avviate al di fuori della rete degli archivi di Stato, ancorate ad una dimensione municipale, spesso connesse allo sforzo allora intrapreso dalle classi dirigenti locali di definire, attraverso il recupero di tradizioni storiche locali e il culto dei monumenti e delle memorie cittadine”, un orizzonte simbolico che permettesse di far emergere, sul comune terreno della nazione, identità cittadine forti e radicate nel passato. Protagonisti di questa politica locale di salvaguardia e valorizzazione degli archivi furono società e deputazioni di storia patria, eruditi locali, biblioteche cittadine, musei civici, amministrazioni e amministratori comunali, che, con finalità e ruoli diversi, si adoperarono in non poche realtà, spesso con un impegno protrattosi per anni, a concentrare gli archivi dispersi, provvedere al loro ordinamento e alla loro inventariazione, a pubblicarne i documenti più importanti, ad aprirli, per quanto possibile, alla pubblica fruizione. Così, in non poche città italiane, l'attuazione dei provvedimenti normativi del 1939 e del 1963, che vennero a sancire definitivamente il preminente ruolo dello Stato nella gestione e nella salvaguardia del patrimonio archivistico nazionale, si realizzò attraverso il semplice mutamento di denominazione e di incardinamento giuridico-amministrativo di istituzioni municipali già consolidate che non costituì in genere un momento di netta discontinuità né di sede né di attività.
            L'aspetto paradossale di questo indirizzo stato-centrico nelle strategie conservative degli archivi nel nostro paese è che esso è giunto al suo culmine nel momento in cui si ponevano i presupposti per l'affermazione di un fenomeno di segno del tutto opposto. Negli ultimi decenni del Novecento, si è infatti andata infittendo sul territorio, grazie a spontanee dinamiche sociali e culturali, più che a consapevoli disegni istituzionali, una rete di luoghi-istituti e di iniziative di conservazione pubbliche e private che hanno fatto sì che la disseminazione e il policentrismo conservativi costituiscano oggi il tratto caratterizzante del panorama archivistico nazionale. Con la crisi di risorse e di prospettive politico culturali, che ha investito negli ultimi dieci anni l'Amministrazione archivistica statale, gli stessi archivi di Stato periferici, perdendo la centralità istituzionale e culturale che avevano nel passato, sono diventati una fra le molte componenti di questo nuovo modello di conservazione. Più che dall'appartenenza ad un rete nazionale governata dal centro, la loro identità si definisce sempre più in ambito locale mentre l'efficacia della loro azione è direttamente proporzionale alla capacità di rispondere alle esigenze del territorio e di stringere legami con le istituzioni politico-amministrative e culturali che in esso operano.
            Non esistono dubbi sui positivi effetti del policentrismo per la ricchezza, diversificazione e pluralità delle iniziative di conservazione, di valorizzazione, di promozione e di coinvolgimento di un pubblico di tipo nuovo. D’altronde il policentrismo conservativo appare, dal punto di vista politico culturale, perfettamente coerente con i nuovi equilibri istituzionali post-centralistici o meglio post stato-centrici che si sono affermati negli anni Novanta del Novecento, anche se occorre riconoscere che non sempre alla disseminazione quantitativa dei soggetti pubblici e privati che detengono archivi (siano essi enti territoriali, enti pubblici di natura diversa, oppure istituti culturali) corrisponde un effettivo impegno a conservare gli archivi in maniera idonea né a renderli realmente fruibili, in conformità ai precisi dettami in materia del Codice dei beni culturali e del paesaggio, in particolare dell'articolo 30. Anzi la crisi che stiamo attraversando ha visto un indebolimento di questo impegno. Inoltre, al di là delle difficoltà del momento, non possono essere ignorati alcuni limiti, probabilmente strutturali, del policentrismo, quali la duplicazione di iniziative che implica possibile od effettivo spreco di risorse, o il tendenziale abbassamento del livello qualitativo della produzione e dell'offerta culturale, causata dalla fragilità delle strutture che se ne fanno carico e da un accentuato localismo, ma soprattutto per il rischio che il policentrismo assuma le forme di una frammentazione sempre più esasperata e scarsamente motivata da ragioni storiche o culturali o dalla natura della documentazione conservata, una frammentazione che è disorientante per gli utenti e che impedisce una oculata gestione della conservazione e dell'iniziativa culturale.
            Che “il policentrismo va[da] (…) in qualche modo “governato”, se si vuole soddisfare le attese del pubblico nei confronti di ottimali servizi culturali”, lo sosteneva già Isabella Zanni Rosiello nella Prima conferenza nazionale degli archivi nel 1998, ponendosi una serie di domande che prospettavano in realtà concrete proposte per uscire da questa situazione di frammentazione conservativa:
È possibile che soggetti giuridicamente diversi e con alle spalle storie e tradizioni di prolungate separatezze accantonino una buona volta le loro specifiche rivendicazioni e mettano da parte i loro oramai estenuati e sterili corporativismi? È possibile che si predispongano, a livello territoriale (cittadino, metropolitano, provinciale, regionale che sia) dei luoghi conservativi, delle soluzioni organizzative, delle forme di coordinamento-cooperazione, in cui archivi, relativi o meno a uno stesso ambito settoriale e appartenenti o meno a soggetti giuridicamente affini, possano essere adeguatamente “valorizzati”?

Già allora, quindi, nell'individuare i limiti della disseminazione degli archivi all'interno di singoli territori, si faceva strada la proposta di sviluppare forme di collaborazione istituzionale che prevedessero anche la confluenza, all'interno di un medesimo istituto o polo archivistico, del patrimonio documentario detenuto dal soggetti diversi, a beneficio in primo luogo degli utenti.
Una più articolata definizione di polo è emersa nel dibattito che ha preceduto la seconda conferenza nazionale degli archivi del novembre 2009, all’interno della quale fu dedicata al tema una apposita sessione. Nel documento preparatorio della sessione emergevano, seppure implicitamente, due diverse concezioni o tipologie di polo archivistico. La prima ne sottolineava la natura di struttura fisica e di istituto di conservazione di tipo nuovo all’interno del quale prospettare una conservazione unitaria della documentazione di una determinata città, territorio o su una determinata tematica indipendentemente dalla natura giuridica e dalla affiliazione istituzionale dei soggetti conservatori e/o produttori della documentazione concentrata (stato, comuni, regione, province, soggetti privati ecc.). La seconda concezione batteva soprattutto l’accento sulla condivisione di servizi archivistici di vario genere all’interno di un determinato territorio o fra istituzioni specializzate nella conservazione della medesima tipologia di materiali quali archivi d’impresa, archivi di persona, archivi politico-sindacali, ecc. configurando quindi il polo come condivisione di servizi di rete (banche dati descrittive, archivi digitali, ecc.) tesi alla valorizzazione, alla apertura al pubblico e alla fruizione degli archivi.
L'Accordo per la promozione e l'attuazione del Sistema Archivistico Nazionale, siglato l'anno dopo tra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, le Regioni e le autonomie locali stabiliva all'articolo 3 che “Il Ministero  e Regioni, le Province e i Comuni promuovono (…) la costituzione di Poli archivistici di ambito regionale, territoriale o tematico”, precisando che “i Poli archivistici costituiscono forme organizzative per la gestione di strutture e di servizi archivistici”.
            Nei tre anni successivi alla conferenza è prevalsa una concezione un po' riduttiva del polo, visto soprattutto come “magazzino” o comunque struttura capiente per far fronte alla penuria di spazi fisici per accogliere la crescente massa di documentazione cartacea prodotta negli ultimi decenni anche a dispetto dei processi di dematerializzazione pronosticati. In questa direzione si è mossa anche la Direzione generale per gli archivi attraverso la creazione di ampi depositi, come il cosiddetto Polo di Morimondo in provincia di Milano, nel quale ci si propone di ospitare documentazione non solo statale, ma anche di altri soggetti e non solo proveniente da area milanese o lombarda, ma anche da altre regioni circonvicine.
            Con minore intensità, invece si è agito per dare corpo all'idea di Polo archivistico, come cooperazione interistituzionale per la condivisione di strutture, risorse, servizi culturali. Il problema degli spazi per la conservazione non può certamente essere sottovalutato. Ne abbiamo avuto conferma - se ce n'era bisogno – all'indomani del terremoto del maggio 2012, quando si sono incontrate grandi difficoltà nel reperire sedi nelle quali potesse essere ospitata la documentazione recuperata da comuni e parrocchie danneggiati e resi inagibili dal sisma. Non a caso è proprio da quelle difficoltà che è scaturita l'idea di promuovere un polo dove ospitare gli archivi delle aree terremotate almeno per il tempo necessario ad ultimare la ricostruzione degli edifici destinati alla loro conservazione. Il progetto ha potuto realizzarsi a Vignola grazie alla collaborazione della Soprintendenza archivistica per l'Emilia Romagna, della Direzione regionale dei beni culturali e paesaggistici e del Comune di quella città, che ha messo a disposizione un capannone, frutto di abuso edilizio, acquisito lo scorso anno. Nel polo, oltre all'archivio comunale di Vignola, saranno così ospitati archivi di vari comuni del modenese e del ferrarese e documentazione dell'Archivio di Stato di Modena, anch'esso pesantemente colpito dal sisma.
            Ma la condivisione di spazi di conservazione non esaurisce le potenzialità di collaborazione interistituzionale, implicita in una concezione a tutto tondo della politica dei poli che consenta non solo di sviluppare azioni di coordinamento fra le istituzioni archivistiche, ma anche di adoperarsi a contenere e a ricomporre il frazionamento conservativo, soprattutto quando questo ha scarse radici storiche e quando avrebbe invece forti motivazioni culturali la convergenza all'interno di un unica istituzione archivistica delle fonti che documentano, nel loro complesso e con accentuati caratteri sistemici, la storia di una città o di un territorio: basti pensare ad esempio agli archivi comunali e a quelli provinciali e di stato presenti in una stessa città oppure ad istituti culturali affini che conservano la medesima tipologia di documentazione. E' indubbio che tale ricomposizione appare oggi una impresa complessa, da molteplici punti di vista, non ultimo quello giuridico-istituzionale. Essa può realizzarsi solo se sostenuta da una forte e diffusa volontà politica, perseguita costruendo accordi, intese, collaborazioni fra stato, regioni, province, comuni e soggetti privati con l'obiettivo di creare poli archivistici intesi non come semplici, per quanto capienti magazzini, ma come istituti di conservazione di tipo nuovo.

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